Ieri avevo notato che dopo la meditazione e durante la colazione di noi “patients” i pescatori tiravano le reti a terra, mentre un nugolo di garzette ballonzolava sulla riva, e mi ero messo in testa di scattare alcune foto. Così oggi dopo la meditazione sono sceso a mare a dare seguito al mio proposito e ho scattato un po’, fino a quando Silva non mi ha chiamato a prendere parte alla fatica. Naturalmente ho detto di sì, come preferisco fare ultimamente.
Mi sono posizionato tra i primi tre tiratori – il primo seduto a addugliare la cima, gli altri in piedi – e ho tirato la rete, non prendendo tuttavia parte alla rotazione effettuata dagli altri venti uomini circa. E sono diventato un pescatore. Ora ho le mie prime vesciche da pesca, e ho capito un po’ di cose del lavoro di queste persone.
Circa venticinque persone vanno con la barca a posizionare le reti, altrettante le issano da terra, quindi una barca dà da vivere ad almeno cinquanta persone, che avranno pure delle famiglie. La barca non appartiene ai pescatori, bensì ad un proprietario, che la noleggia. Il pescato di ogni calata, se le cose non vanno tanto bene, porta un guadagno di quattro o cinquecento rupie. Per issare una rete, che viene calata a circa un km dalla costa, ci vuole circa un’ora. Una barca costa circa 10 lakh, ossia 12 o 13 mila Euro. Per la mia esperienza il prezzo è ragionevole e non lanciato in aria, considerati i due motori Suzuki da 9.9 cv alimentari a kerosene e tenuti dai pescatori come gioielli, a parte le abrasioni di eliche e pinnette per via della sabbia. Le barche le costruiscono in zona. Il mio cervello occidentale tira e conta, quanti uomini, quante ore, quanti soldi, conta e trasecola: cinquanta uomini, due ore, cinquecento rupie, meno il noleggio dell’imbarcazione, e l’ammortamento delle reti, e il kerosene, 500 rupie per 100 ore uomo, meno le spese, per otto ore di lavoro – ossia quattro calate – fanno 5 rupie l’ora ciascuno, 40 rupie al giorno, lorde. Un Euro al cambio ufficiale ne vale 77. Metti pure che si organizzino, che mentre gli uni calano gli altri issano, che ci siano periodi di pesca migliore: siamo comunque al di sotto di qualsiasi soglia, è povertà distillata e concentrata. Voglio sperare che le loro donne, oltre a ritirare e selezionare il pescato come ho visto fare stamani a tre di loro, lavorino nei resort e negli ospedali ayurvedici, presenti in buon numero nei dintorni. Le mie vescichette, frutto del centinaio di bracciate che ho dato con loro, sono un piccolo motivo di orgoglio, dalla voce tonante. Sono cattolici, come molti qui. Un argano gli sarebbe di grande aiuto, ma toglierebbe il lavoro alla metà di loro: in queste situazioni, se si intende intromettersi, è bene farlo in punta di piedi.
È arrivata dal mare un po’ di pioggia, infine. In questa stagione dovrebbe venirne giù a cataratte, invece si è fatta desiderare. Anche il caldo torrido, leggendario di questa stagione, chi l’ha visto? Si sta più o meno come in Italia, anzi stanotte finché ho dormito l’ho fatto col lenzuolo.
La meditazione stamattina è andata molto meglio di ieri, progressi tangibili, anche se invece del terzo occhio mi pare di aver visto una specie di fungo atomico.
Al terapista dominante, quello anglofono, pure cattolico, piace il mio tatuaggio di San Gennaro: buongustaio.
Mi hanno fatto un prelievo di sangue e urine, ci si stanno mettendo d’impegno. Anche io, d’altra parte.
Sono anche riuscito a lavorare bene oggi, con soddisfazione e sofferenza, per una situazione annosa che si è chiusa e un’altra che promette di protrarsi ancora a lungo, con toni spiacevolissimi, che hanno fato ribollire il mio sangue di pescatore, cancellando parte dei benefici delle mie cure. D’altra parte, il mio ufficio indiano mi pare una delizia.
1 Comment
Lorenzo Poggioli
luglio 18, 2019 at 11:36 amBravo Adrio, ci piace il racconto Indiano, ora frò in modo di poterlo ricevere in automatico come newsletter.. vai avanti!